un laboratorio immersivo ideato e curato da Tatjana Giorcelli e Pino Pace
O ragazza dalle guance di pesca,
O ragazza dalle guance d’aurora,
Io spero che a narrarti riesca
La mia vita all’età che tu hai ora.
Coprifuoco: la truppa tedesca
La città dominava. Siam pronti.
Chi non vuole chinare la testa
Con noi prenda la strada dei monti.
Silenziosi sugli aghi di pino,
Su spinosi ricci di castagna,
Una squadra nel buio mattino
Discendeva l’oscura montagna.
La speranza era nostra compagna
Ad assaltar caposaldi nemici
Conquistandoci l’armi in battaglia
Scalzi e laceri eppure felici.
Avevamo vent’anni e oltre il ponte
Oltre il ponte che è in mano nemica
Vedevam l’altra riva, la vita,
Tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte,
Tutto il bene avevamo nel cuore,
A vent’anni la vita è oltre il ponte,
Oltre il fuoco comincia l’amore.
Non è detto che fossimo santi,
L’eroismo non è sovrumano,
Corri, abbassati, dài, balza avanti,
Ogni passo che fai non è vano.
Vedevamo a portata di mano,
Dietro il tronco, il cespuglio, il canneto,
L’avvenire d’un mondo più umano
E più giusto, più libero e lieto.
Avevamo vent’anni e oltre il ponte
Oltre il ponte che è in mano nemica
Vedevam l’altra riva, la vita,
Tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte,
Tutto il bene avevamo nel cuore,
A vent’anni la vita è oltre il ponte,
Oltre il fuoco comincia l’amore.
Ormai tutti han famiglia, hanno figli,
Che non sanno la storia di ieri.
lo son solo e passeggio tra i tigli
Con te, cara, che allora non c’eri.
E vorrei che quei nostri pensieri,
Quelle nostre speranze d’allora,
Rivivessero in quel che tu speri,
O ragazza color dell’aurora.
Avevamo vent’anni e oltre il ponte
Oltre il ponte che è in mano nemica
Vedevam l’altra riva, la vita,
Tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte,
Tutto il bene avevamo nel cuore,
A vent’anni la vita è oltre il ponte,
Oltre il fuoco comincia l’amore. *
Partigiano, come poeta, è parola assoluta, rigettante ogni gradualità.
Beppe Fenoglio
Una volta al secolo, qualcosa di serio e di pulito può accadere anche in questo Paese.
Giorgio Agosti, partigiano
Era come se dovessimo portare noi il peso dell’Italia e dei suoi guai, e del resto anche letteralmente io non ho mai portato e trasportato tanto in vita mia: farine, esplosivi, pignatte, mazzi di bombe incendiarie, munizioni. Era un cumulo grottesco. In cima a tutto c’erano le pentole soprannumerarie, la corda, gli ombrelli ripiegati dei paracadute; sotto il grande strato dei sacchi dei viveri; sotto ancora lo zaino rigonfio, pieno di calze e di palle; e sotto lo zaino, io.
Luigi Meneghello, I piccoli maestri
“Quando c’è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo alla roba da mangiare; e non viceversa, come ritiene il volgo: perchè chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale l’inverso”
Primo Levi, La tregua
L’ottanta per cento dei partigiani (le Brigate Garibaldi erano di ispirazione comunista), portava un fazzoletto rosso al collo, ma va messo in evidenza che di questi comunisti in ogni formazione ve ne erano non più di due o tre, gli altri forse lo sono diventati dopo, ma il fazzoletto rosso era soprattutto un simbolo di antifascismo. E questo intendevano sottolineare quelli che lo portavano.
I partigiani erano vestiti come potevano: con quello che potevano permettersi, che avevano sequestrato, rubato, sottratto al nemico, o che era arrivato con qualche lancio degli alleati. Ovviamente se la loro azione si protraeva per mesi dovevano disporre di vestiti estivi e invernali, e non sempre avevano un guardaroba per conservare i cambi d’abito… Inoltre le formazioni partigiane volevano contrapporre ai nazifascisti in divisa un esercito di popolo, civile, e per questo vestito come il popolo. Unico vezzo, che valeva per riconoscersi e distinguersi tra i combattenti partigiani, era il fazzoletto, un foulard, qualcosa che li designasse come appartenenti a una o all’altra organizzazione partigiana, ad esempio il fazzoletto rosso o tricolore…
Primo Levi, La tregua
“Io, che venivo dalla campagna, ero avvantaggiato. Se trovavo una lumaca, una ranocchia, un po’ ortica, le mangiavo. Qualche volta si tirava una bomba a mano nel fiume per ammazzare il pesce e farlo venire a galla. Per un periodo ho fatto il cuoco: cucinavo quello che portavano con le requisizioni. Loro non mangiavano né le teste di animale, né il fegato, né le budella: io invece li pulivo e li mangiavo”.
Fabio Cangi
“I sogni dei partigiani sono rari e corti, sogni nati dalle notti di fame, legati alla storia del cibo sempre poco e da dividere in tanti: sogni di pezzi di pane morsicati e poi chiusi in un cassetto. I cani randagi devono fare sogni simili, d’ossa rosicchiate e nascoste sottoterra”.
Italo Calvino
Lorena Carrara ed Elisabetta Salvini raccontano: “Dall’aria continuavano ad arrivare, sempre di notte, campioni di roba da mangiare molto esotica, una specie di manna moderna, più bella che buona. C’erano alcuni rotoli di uno strano prodotto composto principalmente di sale e qualche scatola di una pasta pallida e liscia che non sapeva di nulla ed era formaggio canadese. E c’era la polvere d’uovo. Questa non era affatto appetitosa, ma la prima volta che arrivò, mentre noi stavamo lì a guardare perplessi il pacchetto, Lelio e un ragazzo di Roana si fecero forza e si misero a mangiarsela con le mani. Lelio ne mangiò una manciatella e poi si fermò. Il ragazzo di Roana mangiò tutto il resto e ci bevve sopra una borraccia d’acqua perché aveva la bocca impastata, poi si sentì male. Gli altri si misero a fargli bere altra acqua per rianimarlo. Quando entrò in coma lessi cosa c’era scritto sul pacchetto: era una scritta in inglese, diceva “polvere ad altissima concentrazione – 100 uova di gallina canadese – mescolata con l’acqua riacquista il suo volume naturale.” Alla fine avevamo vinto noi: il ragazzo di Roana si riprese, ma in seguito bastava dirgli “coccodè” per farlo svenire.”
Una delle maggiori difficoltà era reperire l’alimentazione per tutte le persone. Si mangiava quello che c’era, a vent’anni si ha sempre fame. Il pane, quando si trovava, era insipido e per mangiarlo nel latte ci voleva tanta fame. Si compravano mucche e maiali per farne spezzatini, ai possidenti si dava una ricevuta, ove era stampato “Brigate Garibaldi, Divisione Modena” con il timbro della brigata e la firma di chi personalmente aveva avuto l’animale; le ricevute furono tutte pagate dal governo italiano.
Ai contadini pagavamo molto spesso in contanti, che ci pervenivano tramite il Comitato di Liberazione Nazionale e che erano frutto di sottoscrizioni da parte di migliaia di lavoratori secondo le possibilità e che, in qualche modo, erano legati alla resistenza. Nelle campagne persicetane vi erano addirittura dei collettori appositi, quali Medeo il sarto (Via Permuta – Lupria), Martini Enrico ed altri.
Prevalentemente si raccoglieva farina di castagne, si mangiava cotta sulle braci e a volte asciutta, in polvere, mentre si camminava nei tanti trasferimenti e questo era un mangiare arduo e difficoltoso.
Così lo racconta Beppe Fenoglio:
“Gli uomini caricavano sacchi di grano e vaste, luride trance di lardo. Sulla porta della depredazione e del magazzino, stava un anziano, scarmigliato dal vento e dall’angoscia, evidentemente il custode e il responsabile del deposito. Diceva: – Non prelevate tutto, lasciatemi una parte di roba con cui possa tener buoni i fascisti, quando verranno a controllarmi. Così mi rovinate, così apparirà che non vi ho fatto la minima resistenza e pertanto sono dalla vostra…”
Se non ci ammazza i crucchi,
Se non ci ammazza i bricchi,
I bricchi ed i crepacci
E il vento di Marenca,
Se non ci ammazza i crucchi,
Se non ci ammazza i bricchi,
Quando saremo vecchi
Ne avrem da raccontar
Quando saremo vecchi
Ne avrem da raccontar
La mia mamma la mi diceva
Non andare sulle montagne
Mangerai sol polenta e castagne
Ti verrà l’acidità
Mangerai sol polenta e castagne
Ti verrà l’acidità
La mia morosa la mi diceva
Non andare con i ribelli
Non avrai più i miei lunghi capelli
Sul cuscino a riposar
Non avrai più i miei lunghi capellì
sul cuscino a riposar
Se non ci ammazza i crucchi,
Se non ci ammazza i bricchi,
I bricchi ed i crepacci
E il vento di Marenca
Se non ci ammazza i crucchi,
Se non ci ammazza i bricchi,
Quando saremo vecchi
Ne avrem da raccontar
Quando saremo vecchi
Ne avrem da raccontar
Questa notte mi sono insognato
Ch’ero sceso giù in città,
C’era mia mamma vestita di rosso
Che ballava col mio papà
C’era mia mamma vestita di rosso
Che ballava col mio papà
C’era i tedeschi buttati in ginocchio
Che chiamavano pietà
C’era i tedeschi buttati in ginocchio
Che chiamavano pietà
C’era i fascisti vestiti da prete
Che scappavan di qua e di là
C’era i fascisti vestiti da prete
Che scappavan di qua e di là
Se non ci ammazza i crucchi,
Se non ci ammazza i bricchi,
I bricchi ed i crepacci
E il vento di Marenca
Se non ci ammazza i crucchi,
Se non ci ammazza i bricchi,
Quando saremo vecchi
Ne avrem da raccontar
Quando saremo vecchi
Ne avrem da raccontar.